libro vermetto

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Ciao carissimi gnometti!

Siete pronti per ascoltare una storia?

Cominciamo!


La Festa degli Gnomi

Nella piazza di un paese situato ai piedi di un’alta e boscosa catena di montagne, era stata aperta da alcuni anni una pasticceria davvero speciale. I suoi dolci erano così buoni da essere diventati subito famosi in tutta la regione e anche oltre, e non c’era forestiero di passaggio che non si fermasse in quel borgo, facendo magari una deviazione dal proprio tragitto, solo per deliziarsi con quelle leccornie.

Il merito andava soprattutto alla pasticciera, che sembrava nata apposta per preparare paste e torroni, caramelle e marzapane, panforte e wafer, amaretti e strudel, cassate e savoiardi, maritozzi e chiacchiere, ricciarelli e bacididama, babà e taralluci, pan di Spagna e gelati e ogni altra ghiottoneria del genere. E non è nemmeno il caso di aggiungere che i bambini di quel paese erano invidiati dai loro coetanei di tutto il circondario per la fortuna di poter mangiare dolci tanto buoni.
Accadde però che una notte il pasticciere fu svegliato da uno strano rumore proveniente dal retrobottega, dove erano conservate le provviste. Scese a controllare, con una candela in mano, e scorse un’ombra appuntita e verdina, alta tre spanne, che scappava, carica di barattoli e pacchetti, da una finestrella, arrampicandosi svelta su per una corda di luce lunare.

Tornò velocemente in camera da letto per vestirsi e indagare su quella strana intrusione. Ma fece appena in tempo a vedere che anche lì la finestra era spalancata e due minuscole ombre incappucciate si stavano portando via sua moglie lungo un raggio di luna.

Il povero pasticciere s’infilò gli stivali e corse fuori in cerca d`aiuto. Svegliò i vicini spiegando quel che era successo. Qualcuno pensò che avesse le visioni o che fosse un po’ brillo, altri invece gli diedero retta e frugarono dappertutto, ma della pasticciera non c’era alcuna traccia. Anche i più volonterosi cominciarono allora a sospettare che l`incredibile storia nascondesse qualche litigio familiare e se ne tornarono a letto, brontolando per il sonno perduto.

Quando il pasticciere rincasò da solo era quasi l’alba. Si appoggiò al bancone della bottega triste e abbattuto, senza sapere che altro fare e senza avere alcuna voglia di accendere il forno. Ma proprio mentre l’aurora entrava rosata dalle finestre rimaste aperte, sentì suonare la campanella della porta e vide sua moglie con la camicia da notte sporca di marmellata, crema e farina, che si dirigeva come una sonnambula verso la camera da letto. La donna si coricò sorridente, addormentandosi di botto.

Un po’ rasserenato dalla sua espressione tranquilla, il pasticciere si mise al lavoro da solo. Aveva però altri pensieri per la testa e i dolci non gli riuscirono affatto bene. Inoltre quel mattino sbagliò molte volte a servire i clienti, perché era imbarazzato dal fatto di dover spiegare a tutti lo scompiglio della notte e il misterioso ritorno della moglie. Inutile dire che lo indispettiva il sorrisetto ironico con cui venivano accolte le sue spiegazioni.

Quando infine, qualche ora più tardi, la moglie si svegliò, il pasticciere le fece un sacco di domande, ma lei non ricordava nulla e non aveva idea di dove si fosse fatta quelle macchie di crema, farina e marmellata. Si guardarono perplessi e decisero di dimenticare l’accaduto. Ad ogni buon conto, quella sera il pasticciere chiuse per bene gli scuri di tutte le finestre, sprangandoli con dei paletti, poi appoggiò un randello al comodino e si coricò senza togliersi i vestiti, per essere pronto ad ogni evenienza. Ma, stanchissimo com’era, sprofondò ben presto nel sonno.

Si svegliò di soprassalto sentendo cadere a terra i paletti delle finestre. Vide di nuovo la moglie avviarsi su per un raggio di luna, tenuta per mano da due esserini verdognoli, e sentì armeggiare di sotto, nella dispensa. Questa volta fu rapido: scese a precipizio giù per le scale, si gettò sul nanetto carico di confetti, marron glacé e canditi e riuscì quasi ad afferrarlo. Lo inseguì scavalcando dietro di lui la finestrella e vide che prendeva il viottolo verso i boschi. Al crocicchio appena fuori del paese lo aspettavano gli altri due, con accanto la pasticciera in camicia da notte e con gli occhi chiusi, bianca e brillante sotto la luna. Si mise a correre a più non posso alle loro calcagna, addentrandosi nella fitta vegetazione, finché sentì che gli mancava la terra sotto i piedi e si ritrovò sul fondo di una buca che era stata ricoperta di frasche.

Uscì fuori a fatica dalla trappola, tutto indolenzito e mogio per essere stato giocato da quei cosi verdastri e ritornò lentamente in paese. Questa volta era deciso a non raccontare a nessuno quel che gli stava capitando, per non essere sbeffeggiato e nella speranza di vedere di nuovo tornare la moglie all’alba.

Così fu infatti. Ma anche quel giorno le torte, i pasticcini e i biscotti non riuscirono buoni come al solito e se ne accorsero persino i bambini che passavano a prendersi una merendina per la scuola: i cannoli si appiccicavano alle dita e la glassa dei bignè non sapeva di nulla. La bottega sembrava non avesse nemmeno più quell’aroma di vaniglia e cioccolato che i bambini annusavano tanto volentieri.

Nel tardo pomeriggio passò una vecchina piuttosto povera, che veniva un giorno sì e uno no a chiedere se per caso non fossero avanzate delle paste per lei e le sue amiche anziane. Era così gentile e aveva un volto così buono, che col tempo la coppia della pasticceria le si era affezionata e ormai non si limitavano più a darle qualche ciambella o meringa rimasta nei vassoi, ma preparavano apposta una morbida crostata di frutta, mettendola da parte per il gruppetto di nonnette, anche se, per delicatezza, continuavano a dargliela gratis dicendole che era avanzata e che comunque non l’avrebbero più potuta vendere, che andava mangiata fresca ed era un peccato sprecarla.

Ma quel giorno, quando la vecchina entrò nella bottega, trovò marito e moglie che discutevano cercando di capire qualcosa di quel garbuglio. Al vederli tanto preoccupati, s’informò del loro problema e ai due non parve vero di potersi confidare con qualcuno. La vecchina, che viveva in quei luoghi da quando il paese non era che un pugno di case sperdute tra i boschi, ascoltò attentamente il racconto, poi disse con la sua voce lenta al pasticciere: «Per strano che possa sembrare, devono essere gli gnomi della montagna. Non sono cattivi, soltanto un po’ bislacchi e gelosi del loro mondo. Ma sono anche cocciuti e può darsi che tornino una terza volta. C’è un solo sentiero che porta dove vivono, e non è certo quello segnato, che ti hanno fatto seguire solo per prenderti in giro. Mia nonna, moltissimi anni fa, mi fece vedere dove inizia, ma non volle che lo percorressi fino in fondo. Mi disse che era meglio lasciare agli gnomi un po’ di segreti, perché le favole sono fragili. Allora ero una bambina e mi sembrava naturale crederci e incontrarli qualche volta su un ceppo o a una fonte. Poi nessuno me ne ha più parlato e non li ho più visti. Ma voi siete stati così generosi con me che voglio provare ad aiutarvi. Se mi accompagni, cercherò di ricordarmi per dove si passa».

L’uomo non se lo fece ripetere due volte e la seguì oltre gli ultimi steccati, su per le pendici. La vecchina si fermò alcune volte incerta, come a voler ritrovare nella memoria la posizione di un masso o di un albero, ma alla fine indicò con sicurezza l’imbocco del sentiero magico: un mucchietto di pietre biancastre davanti a un enorme intrico di more, edere e spini. La vecchina lo avvertì che si poteva percorrere il sentiero solo quando era illuminato dai raggi della luna.
Quella notte si ripeté la scena fulminea delle notti precedenti, ma il pasticciere non corse dietro a sua moglie e agli gnomi: s’affrettò a tornare all`imbocco del sentiero magico e aspettò che l’ombra abbandonasse il mucchietto di pietre e vi si posasse sopra la luce lunare. Appena questa lo toccò, le pietre risplendettero e i rovi s’aprirono. L`uomo si avviò attraversando i raggi di luna e si sentì trasportare rapidamente lontano, come se invece di camminare scivolasse a gran velocità per i boschi.

Sbucò infine sul margine di una radura e quel che vide lo lasciò a bocca aperta. Sua moglie, sempre ad occhi chiusi e in camicia da notte, stava preparando ogni sorta di dolci in una grande cucina all’aperto con molti forni, mentre tutt`attorno s’affaccendavano, eseguendo alacremente i suoi ordini, tre tipetti con copricapi a punta: uno verde smeraldo, l’altro verde oliva e il terzo verde pisello. Su una lunghissima tavola, molto bassa, circondata da tre seggiolino s’allineava una distesa di torte, frittelle al miele, cioccolatini, sfogliate con panna e pinoli, budini, tartine ai lamponi e mirtilli, zuccotti, cialde con l’uva passa, bomboloni, bignole allo zabaione, mele caramellate, croccanti di mandorle e nocciole e ogni altra delizia del ricco repertorio della pasticciera.
Appena si fu ripreso dallo stupore, afferrò un grosso ramo e si diresse minaccioso verso i tre gnomi che, senza essersi accorti di lui, continuavano infaticabili ad impastare, guarnire e sfornare i dolci, infilandoci ogni tanto di nascosto la punta di un dito per assaggiare. Il pasticciere gridò: “Adesso ve la faccio vedere io!” roteando il bastone. La pasticciera trasalì e tornò in se, poi vedendo dove si trovava si confuse e lasciò cadere un vassoio di frollini alle fragole, che si sparsero sull’erba.

I tre gnomi si resero conto di trovarsi in un guaio e s’affannarono a placare quell’uomo, che era adirato sì, ma anche fortemente attratto dai capolavori di pasticceria che giacevano in grande abbondanza tra lui e i tre esserini. Questi, che oltre tutto da vicino risultavano molto buffi e inoffensivi, lo convinsero ad ascoltare le loro spiegazioni prima di sfogare la sua furia.
Cominciò quello col copricapo smeraldino: «Calmati, per favore. Non vogliamo affatto rubarti la moglie o il mestiere. Vedi, abitiamo in questi boschi da tantissimo tempo. Ogni sette anni prepariamo per i bambini del paese una festa con dei dolci, tanto gigantesca quanto noi e i nostri ospiti siamo piccolini. Lo facciamo perché è grazie a loro che esistiamo: sono loro gli unici a credere in noi, a vederci e incontrarci. Ma da quando avete aperto la vostra pasticceria con tutte quelle squisitezze, temevamo che al prossimo appuntamento i bambini, così ben abituati, avrebbero trovato meno buone le nostre torte e paste e così abbiamo pensato di unire l’arte della brava signora pasticciera con la nostra. E se assaggi non puoi negare che il risultato è eccellente. Prova, provate tutti e due…».

Assaggiarono e dovettero convenire che i loro già buonissimi dolci erano stati ancora migliorati. Continuò, rivolto alla pasticciera, lo gnomo col copricapo olivastro: «Signora, ci dispiace di averla dovuta rapire di nascosto. Speravamo che suo marito avesse il sonno duro e non se ne accorgesse. Lei sarebbe tornata all’alba, solo un po’ stanca, senza ricordare nulla. Non pensavamo di creare quel trambusto in paese. Sappiamo però che è sempre meglio far le cose misteriosamente e tenere quanto più possibile all’oscuro gli adulti, perché quando mettono le mani nel nostro mondo non si sa mai come va a finire».

I due sposi rammentarono le parole della vecchina, quando diceva che le favole sono fragili. Concluse lo gnomo col copricapo color pisello: «Ormai è l’ultima notte, la festa è per domani. Se ora che siete qui, volete aiutarci, invece di giudicare in base a quel che accade nel vostro mondo, insieme possiamo finire in un battibaleno la più grande montagna di dolci che si sia mai vista. In cambio, vi daremo tutte le ricette che abbiamo inventato e diverrete pasticcieri favolosi, insuperabili».

La pasticciera, che non aveva figli e amava molto i bambini, tirò la manica del marito e gli sorrise dolcemente per convincerlo. Questo si grattò un po’ la testa e dopo aver cercato inutilmente nel proprio animo tracce dell’arrabbiatura di poco prima, restituì alla moglie e agli gnomi un bel sorriso. Si misero tutti quanti allegramente al lavoro al chiaro di luna.

Il mattino seguente il maestro del paese accompagnò la sua scolaresca in una escursione per il bosco. Precedendo la lunga fila di alunni, faceva varie dotte osservazioni naturalistiche, terminando sempre con un «Mi seguite, bambini?» o un «Non è vero, bambini?», frasi alle quali voleva sentir rispondere in coro con uno squillante: «Sì, signor maestro!».

Ad un certo punto disse: «Un tempo si credeva che queste contrade boschive fossero popolate da creature fantastiche, come streghe, fate, elfi e gnomi. Naturalmente si tratta solo di superstizioni. Mi seguite, bambini?». Attese il solito coro, ma non ricevette alcuna risposta. E voltandosi non vide dietro di se più nessuno.

Si mise a cercarli dappertutto. Non riusciva a decidere se tornare in paese a chiedere rinforzi, ammettendo di essersi lasciato sfuggire una scolaresca intera senza accorgersene, oppure insistere a chiamare i suoi alunni a gran voce per quei boschi fino a scovarli. A forza di vagare, si rese conto d’aver perso l’orientamento. Il sole era a metà del cielo quando sbucò in una radura dove c’era una lunghissima tavola, con tante seggioline su cui stavano seduti gli scolaretti del paese godendosi una festa.

Riconobbe la pasticciera e il pasticciere che servivano dolci ai bambini e tirò un sospiro di sollievo. «Meno male che li avete trovati voi», disse lasciandosi cadere esausto sull’erba.
«Signor maestro, siamo ospiti degli gnomi!» gridarono tutti insieme i bambini al vederlo arrivare.
«Ma quali gnomi?» ribatté il maestro sbuffando. «Ci siete tutti piuttosto? Che dopo facciamo i conti!».

«Eccoli, quelli, guardi!» esclamarono all`unisono i bambini, girandosi con gli indici puntati dalla parte opposta, dove sedevano a capotavola, i tre esserini incappucciati di smeraldo, oliva e pisello. Ma gli gnomi non c’erano più.

«Finiamola con questi scherzi, che adesso muoio di fame e voglio assaggiare anch’io queste torte» disse il maestro, rabbonito da quel banchetto meraviglioso. Per darsi comunque un tono, proseguì con la bocca piena: «E cercate di darmi più retta in futuro. Vi ho già detto che gli gnomi non esistono. Non è vero, bambini?».

«Sì, signor maestro!» risposero in coro i bambini, dandosi gomitatine e strizzandosi l’occhio l’un l’altro, mentre il pasticciere e la pasticciera si sorridevano contenti.